ETNA: I VINI DEL VULCANO
Un breve viaggio tra i vigneti dell’Etna, qualche considerazione sulle vigne centenarie e sul territorio, appunti di degustazioni e piccola panoramica sul patrimonio unico e ricco di prodotti tipici e di qualità del vulcano.
Di Catia Minghi
“L’Etna è per noi da sempre, gente della Sicilia Orientale, un riferimento. Non potrebbe essere altrimenti. E’ una presenza maestosa. Fisica, psicologica, da cui gli anziani agricoltori, mio nonno, rivolgendo lo sguardo alla bianca sommità del vulcano, hanno assunto premonizioni, auspici, previsioni climatiche. Sono stati loro che mi hanno trasmesso il fascino del vulcano Etna. Da piccolo non riuscivo ad immaginare la mia terra senza la Montagna e, ingenuamente chiedevo, con ovvia ilarità di chi mi ascoltava: ma come fanno gli altri senza “ a Montagna?” (Salvo Foti).
Il vino dell’Etna, nelle sue tipologie Etna Bianco ed Etna Bianco Superiore, Etna Rosato, Etna Rosso e Riserva, Etna Spumante, è stato il primo vino siciliano da tavola ad ottenere, nel 1968, il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata.
Secondo il disciplinare, i vini a denominazione di origine controllata “Etna” devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:
1 – “Etna” bianco: Carricante minimo 60%; Catarratto bianco comune o lucido da 0 a 40%.
Possono concorrere alla produzione di questo vino, fino ad un massimo del 15 % del totale, anche uve provenienti dai vitigni Trebbiano, Minnella bianca e altri vitigni a bacca bianca non aromatici idonei alla coltivazione nella regione Sicilia , iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato, con D.M. 7 maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.242 del 14 ottobre 2004, e da ultimo aggiornato con D.M. 22 aprile 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 23 luglio 2011.
2 – “Etna” bianco superiore: Carricante minimo 80% .
Possono concorrere alla produzione di questo vino, fino ad un massimo del 20%del totale, anche uve provenienti dai vitigni Trebbiano, Minnella bianca ealtri vitigni a bacca bianca non aromatici idonei alla coltivazione nella regione Sicilia , come specificato al punto 1.
3 – “Etna” rosso (anche riserva) e “Etna” rosato: Nerello Mascalese minimo 80%; Nerello Mantellato (Nerello Cappuccio) da 0 a 20%.
Possono concorrere alla produzione di questi vini, fino ad un massimo del 10% del totale, anche uve provenienti da altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Sicilia , come specificato al punto 1.
Si possono fregiare della menzione Riserva solo i vini sottoposti ad un periodo di invecchiamento all’interno della zona di produzione di almeno quattro anni, di cui almeno 12 mesi in legno. Il periodo di invecchiamento decorre dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve.
4 – “Etna” spumante (rosato o vinificato in bianco):Nerello Mascalese minimo 60%
Possono concorrere alla produzione di questo vino, nella misura massima del 40% altri vitigni idonei alla coltivazione nella Regione Sicilia come sopra specificato.
Una delle migliori vendemmie dell’ultimo decennio, probabilmente è stata quella del 2011. Caratterizzata da un inverno molto rigido, primavera con piogge al di sopra della media, seguita da una estate calda che ha fatto maturare al meglio le uve. La vendemmia si è protratta fino a fine ottobre. Uve maturate perfettamente, il carricante ricco di frutto e note minerali, il nerello mascalese caratterizzato da frutto elegante e note di sottobosco, il nerello cappuccio gentile e molto fruttato
Nel 2011 è stato definitivamente approvato il nuovo disciplinare della Doc Etna che finalmente consente ai produttori di poter aggiungere la menzione geografica del luogo di produzione.Il nuovo disciplinare non ha modificato i confini geografici della Doc, pertanto sono esclusi da questa menzione tutti quei vigneti situati ad alta quota, cioè superiori ai mille metri che negli ultimi anni sono stati ripresi e rimessi in produzione. Vigneti storici bellissimi a volte anche centenari, spesso a piede franco, situati nelle contrade di Sciara Nuova, Guardiola, Rampante o Barbabecchi. Paradossalmente i vini prodotti in queste vigne non potranno appellarsi Etna Doc. Nonostante in passato sull’Etna si sia sempre coltivata la vite sino a 1.200 metri, nel 1968 il legislatore nel definire i confini della Doc verso l’alto, probabilmente per comodità, si attenne alle curve di livello, perché in quel periodo molte delle vigne in altitudine erano state abbandonate, in quanto troppo costose da coltivare e poco produttive.
Pertanto oseremo definire questi vini con il termine Vini Estremi.
“Sono vini “eroici” figli della fatica, del sudore, della laboriosità dell’uomo. Vini prodotti in zone spesso sconosciute, geograficamente impervie, talvolta impossibili. Minuscoli fazzoletti di terra, strappati alla montagna, alle rocce al mare. (cit. Giampaolo Girardi) Vigne all’interno di boschi di querce, castagni e ginestre, situate nel lato Nord del vulcano a 1200/1300 m. s.l.m.. In questa zona il vulcano non offre alcun riparo dai venti del Nord, i cambiamenti climatici sono repentini e le temperature invernali molto rigide. Grosse escursioni termiche, forma di allevamento ad alberello e coltivazione esclusivamente a mano.
Secondo il disciplinare, la zona di produzione delle uve idonee alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Etna” ricade nella provincia di Catania e comprende i terreni di parte dei territori dei comuni di Biancavilia, S. Maria di Licodia, Paternò, Belpasso, Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Viagrande, Aci S. Antonio, Acireale, S. Venerina, Giarre, Mascali, Santa Venerina, Zafferana Etnea, Milo, S. Alfio, Piedimonte Etneo, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia, Randazzo.
Sul rispetto del disciplinare di produzione dei vini Etna DOC vigila il Consorzio di Tutela dei Vini Etna DOC.
I vini dell’Etna sono il frutto di una tradizione vitivinicola tra le più antiche al mondo. Infatti l’Etna ha sempre rappresentato per la vite un ambiente ideale in cui svilupparsi. L’uomo compare sull’isola nel periodo Paleolitico e nel Neolitico inizia a dedicarsi all’agricoltura e quindi alla viticoltura. Da allora la mitologia, la religione e la cultura della Sicilia sono legate, indissolubilmente al vino. Le continue dominazioni e gli scambi sociali e commerciali tra la Sicilia e le civiltà del Mediterraneo, favoriscono la coltura e la cultura vitivinicola isolana. I Greci, (dall’800 al 500 a.C.) sono i primi ad apportare importanti contributi alla viticoltura, alle tecniche di vinificazione e alla cultura del vino e per primi introducono l’arte della mescita e del bere. Significative testimonianze sono le infinite decorazioni con motivi viticoli, le riproduzioni sulle monete, i recipienti e vasi vinari ritrovati, usati per bere e conservare il vino. Anfore grezze, vasi sferoidali od ovoidali, dinoi, stamnoi, crateri. Con i Greci arriva anche il culto di Dioniso, dio del vino e dispensatore di beatitudine. Danze orgiastiche e coreografiche eseguite dai vendemmiatori durante la vendemmia, venivano considerate come uno stato di grazia, concesso da Dioniso ai suoi fedeli senza distinzione di nascita e di classi sociali. Musica, vino e amore diventano i tre ingredienti principali delle riunioni conviviali, in cui tra l’altro, si praticava spesso il gioco del Cottabo. L’Etna ed i suoi vini, sono stati citati spesso nella mitologia greca. Nell’Odissea, sembrerebbe che nella Terra dei Ciclopi, identificata dagli studiosi con la Sicilia, Dioniso aiutò Ulisse ad accecare Polifemo, dopo averlo ammansito e inebriato con il vino. Durante la dominazione Romana (264 a.C. – 533 d.C.), i vini siciliani sono considerati i migliori dell’epoca ed esportati ovunque, Francia compresa, in anfore di terracotta. Lo stesso Catone, descrive minuziosamente i vecchi torchi etnei ed il loro funzionamento, nel “De Re Rustica”.Dopo le invasioni barbariche e la caduta dell’Impero Romano in Sicilia con i Bizantini si ha una ripresa della viticoltura per poi arrestarsi nuovamente quando gli Arabi conquistano l’isola. Non favoriscono la produzione di uve da mosto per ovvi motivi religiosi ma introducono varie qualità di uve da tavola tra cui lo Zibibbo o Moscato d’Alessandria. Sotto gli Aragonesi nel 1435 nasce “La Maestranza dei Vigneri”, un’importante corporazione di viticoltori che si trasforma presto in classe sociale ed interviene e delibera nelle assemblee municipali, impugna le armi in difesa del Comune assumendo una certa rilevanza politica. Durante il regno dei Vicerè i vini etnei sono esportati anche in Germania e Bacci, nella sua “De Naturali Vinorum Historia” attribuisce il successo dei vini etnei alla matrice vulcanica del terreno. Tra il 1700 e 1800 la viticoltura etnea, raggiunge una considerevole importanza economica e sociale. Nei magazzini del porto di Riposto, confluivano i vini di tutte le contrade etnee per essere imbarcati ed esportati. Tra quelli più rinomati i vini di Mascali, Giarre, Riposto, Viagrande, Trecastagni, Nicolosi, Belpasso, Milo e Sant’Alfio.
Un aspetto particolarmente interessante e per l’epoca forse anacronistico è dato dalla gestione dei fondi vitati, i quali erano a conduzione diretta ed il proprietario aveva un attaccamento viscerale al proprio terreno tale da spingerlo a vinificare per proprio conto e a costruirsi personalmente il palmento in pietra lavica. Ancora oggi, facendo un giro per l’Etna è possibile vedere queste costruzioni, alcune più sfarzose altre meno, in quanto la capacità del palmento era dimensionata all’estensione del vigneto. In ogni vigna di proprietà si aveva una costruzione rurale che comprendeva l’abitazione per la famiglia del proprietario, la stalla per il ricovero degli animali da soma e qualche vitello, fonte di concime per il vigneto stesso, ed il palmento per la trasformazione dell’uva in vino. Durante la vendemmia, brulicavano di vita, di canzoni contadine, di tradizioni e riti imperituri.
Il “palmento” sull’Etna non è semplicemente la cantina di vinificazione, ma il luogo in cui l’insieme dei fattori geologici, biologici, geografici, climatici che formano il terroir e la tecnica, la tradizione e l’esperienza vitivinicola dei produttori, si amalgamano per creare e caratterizzare un vino. “Bona cantina fa bonu vinu” Notizie relative alle pratiche colturali in uso all’epoca e alla vita nel palmento, ci sono state riportate da Costarelli, sacerdote e proprietario di vigneti, e meglio ancora da Sestini, agronomo fiorentino, nonché economo, botanico, numismatico che nella seconda metà del 700 soggiornò a Catania al servizio del principe Biscari in qualità di bibliotecario ed antiquario. Sestini molto intelligentemente si limita ad osservare e riportare pedissequamente tutte le operazioni praticate in vigna senza fare paragoni con quelle delle altre regioni in quanto i loro territori non avevano alcuna attinenza con quello etneo. “comecchè le terre sono mescolate di una quantità di grosse pietre o lave, non si possono piantare le vigne secondo la maniera delle nostre parti, e far le fosse lunghe, a forza di zappone, o marza, alla profondità che si richiede, per passare a piantarvi o collocarvi i maglioli, ma ciò vien supplito dall’industria dei vignaioli con voltare e rivoltare previamente la terra a forza di aratro, per indi passare alla piantagione dei magliuli……”cita testualmente Sestini.
Infatti il primo ostacolo che affronta il viticoltore etneo nel piantare la vigna è dato dalla lava ed inizialmente con le mani ed arnesi rudimentali e poi con la polvere da sparo ed il piccone, ha tolto le pietre più grandi con cui ha costruito i muri di cinta prima e poi i muri a secco di contenimento delle terrazze, su cui successivamente piantare i vigneti, che adesso si spingono fino ed oltre i 1000 metri di quota.
A fine 800 Catania era la prima provincia siciliana per superficie vitata con oltre 91.800 ha, di cui 50.000 situati nella regione etnea che da sola produceva oltre cento milioni di litri di vino. Poiché la maggior parte dei vini prodotti prendeva il mare, dal porto di Riposto diretto in Francia, nell’Italia settentrionale e nelle Americhe, nel 1881 nasce la Scuola Enologica su regio decreto e nel 1886 viene istituito l’Ufficio Enologico, a tutela e controllo dei vini dell’Etna.
Carlo Tuccari di Castiglione di Sicilia e Biondi & Lanzafame di Trecastagni, le prime aziende dell’epoca ad imbottigliare. C’è anche da dire che la crescente domanda dei vini etnei, favorì la coltura della vite a discapito di altre colture, come quella del gelso necessaria per la produzione della seta. Nei primi del 900 approda sull’isola, la micidiale “fillossera” causa principale dell’immediato crollo della produzione, a cui va ad aggiungersi la maggiore esosità delle imposte sul vino decisa dal governo (1920 – 1924) per la Sicilia. Questo fu l’inizio del declino che ha portato all’estirpazione dei vigneti a favore degli agrumeti nelle zone più basse e all’abbandono definitivo nelle zone più in alto, facendo così restringere la zona di produzione. Nonostante il graduale reimpianto dei vigneti utilizzando come portainnesto la vite americana, non è stata mai più ripristinata la superficie vitata esistente prefillossera.
Il Barone di Villagrande l’ha definito terrificante, affascinante e splendido, secondo i momenti che induce a vivere. Nato oltre duecento milioni di anni fa, geologi e vulcanologi lo definiscono padre della Sicilia; a lui il merito di aver dato alla vita e di aver unito tutte le piccole isole sparse nel Mediterraneo. Il clima sull’Etna varia notevolmente in relazione al versante e all’altitudine. Da notare che è alto 3346 metri s.l.m. (dato variabile in base alle eruzioni) ed ha una circonferenza alla base di 150 Km. circa. Nella zona pedemontana il clima è più fresco e più ventilato rispetto al resto della Sicilia, le temperature minime in inverno possono avvicinarsi allo zero e, in estate, le massime non sono quasi mai troppo elevate. Interessante è invece l’escursione termica tra il giorno e la notte (anche di oltre venti gradi) che si registra durante la primavera e l’estate. Ciò favorisce ovviamente la maturazione fenolica delle uve che ne determina il colore ed il profilo gustativo.
Il terreno della zona etnea si è formato dallo sgretolamento di uno o più tipi di lava di diversa età e da materiali eruttivi quali lapilli, ceneri e sabbie. Lo stato di sgretolamento e la composizione dei materiali eruttivi danno origine a suoli composti, oppure formati da pomice di piccole dimensioni, chiamata ripiddu.
Etna Versante Nord ( comuni di Piedimonte Etneo, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia e Randazzo)
In questa zona, il terreno è vulcanico, terrazzato. I muretti a secco sono chiazzati di muschio sempre verde. I cambiamenti climatici sono veloci ed inaspettati (l’Etna è un nord nel sud!). Le temperature invernali sono abbastanza rigide. La viticoltura esistente è di tipo primordiale. La zona non è ambita dal punto di vista turistico e questo ha consentito un mantenimento quasi intatto del territorio, senza l’invadenza prorompente dell’uomo. La vite è allevata ad alberello, 8-9.000 viti per ettaro. Può essere solo coltivata a mano, con piccoli mezzi agricoli poco invasivi (motozappe), o utilizzando il mulo. Temperature invernali rigide, ma calde nel periodo estivo, con sbalzi di temperatura tra giorno e notte notevoli. I vitigni sono diversi e in miscellanea nella vigna. Il terreno vulcanico, sabbioso, è contraddistinto da uno scheletro importante formato da pietre generate dalla disgregazione della lava, qui di origine antichissima. Il terreno cambia continuamente, diventando profondo e fertile in certi punti o pochissimo profondo, con roccia vulcanica affiorante, in altri.
Tra i bianchi, oltre al tipico Carricante, si trova la Malvasia, la Visparola (antichissimo vitigno autoctono), la Minnella e il Grecanico. I vitigni rossi sono il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, l’Alicante e il “Francisi”.
Etna versante est comuni di Giarre, Mascali, Milo, S. Alfio, S. Venerina, Trecastagni, Viagrande e Zafferana)
Tra la vite e l’ambiente vi è una lotta per la sopravvivenza. Le piogge possono arrivare inaspettate in qualsiasi momento, dipende dai venti che arrivano dal mare e portano con se nubi cariche di acqua e qualche volta di grandine. Esse anche se abbondanti non vengono trattenute dal particolare terreno vulcanico. Nel periodo estivo la siccità rende il terreno sabbioso asciutto e arido. Durante le molteplici lavorazioni estive, fatte per mantenere quanto più possibile la poca umidità nella terra sabbiosa, il terreno diventa una polvere impalpabile che si diffonde nell’aria rendendola irrespirabile e insinuandosi sin dentro le cavità più remote della pelle. La vite affonda le sue radici in un terreno per niente omogeneo formato dalle tante colate laviche succedutesi nei millenni. Ogni vite sembra avere una propria vita disgiunta dal resto. Dipende da dove e come affonda le sue radici nel terreno, se incontra terreno fertile o nuda roccia lavica. Le viti spesso soffrono di questa disomogeneità pedologica e dei frequenti eccessi climatici. Questa sofferenza è però uno stimolo per le piante, che provoca in esse una grande e ostinata volontà di sopravvivenza, e le induce a dare poco frutto, ma ricco. Mai troppo dolce o troppo concentrato, di buona acidità e di grande equilibrio. Pochi trattamenti con zolfo e poltiglia bordolese sono sufficienti a mantenere sani i grappoli d’uva.
Nerello Mascalese
Vitigno principe a bacca nera storicamente prevalente sull’Etna, prende il nome dal territorio di Mascali dove venne selezionato un paio di secoli fa. È la base dell’Etna rosso DOC,nel quale devono essere presenti uve Nerello Mascalese per almeno l’80%. Come gli altri vitigni etnei il Nerello Mascalese è a maturazione tardiva, dunque viene vendemmiato intorno alla seconda decade di ottobre.
Da circa 150 anni è il vitigno più diffuso a nord della Sicilia. Non di rado si possono vedere vecchissime vigne ad alberello di Nerello Mascalese ad un’altitudine superiore ai 1000 m. s.l.m.
Produce vini dalle sfumature diverse a seconda del versante, della quota in cui è coltivato e del sistema di allevamento, generalmente accomunati da una grande struttura e da un’eleganza di profumi destinata ad evolversi ulteriormente con l’invecchiamento.
Nerello Cappuccio
Il Nerello Cappuccio, o Mantellato, (anche detto Mantiddatu Niuri o Niureddu Ammatiddatu) è un vitigno a bacca rossa diffuso sul vulcano che, assieme al Nerello Mascalese ma in percentuali assai inferiori, rappresenta gran parte del panorama ampelografico delle vigne etnee. Il suo nome deriva dal caratteristico portamento della pianta. Generalmente è utlizzato in abbinamento con altri vitigni a bacca rossa al fine di moderarne l’asprezza e l’acidità. È presente nell’Etna rosso DOCper una quota che non può superare il 20%. Al vino regala una maggiore intensità cromatica sopperendo così alla scarsa capacità colorante del Nerello Mascalese.
Carricante
È un vitigno autoctono antichissimo a bacca bianca che si trova esclusivamente sull’Etna e il suo nome si riferisce alla grande produttività della pianta, intendendosi infatti per carricante “pianta carica di frutti”. È particolarmente diffuso nel versante est del vulcano ed è la base dell’Etna bianco DOC. Il fiorentino Sestini raccontava di come i viticoltori usavano lasciare il vino prodotto con questa uva nelle botti insieme alle fecce al fine di favorire in primavera la fermentazione malolattica e smorzarne l’acidità. E’ scarsamente diffuso al di fuori di questo territorio. Se ben vinificato, dà origine a vini bianchi longevi e minerali.
Catarratto
Importantissimo vitigno a bacca bianca, dalle origine sconosciute. Esistono molte varianti di questo vitigno, le due varietà principali sono il Catarratto Bianco Comune ed il Catarratto Bianco Lucido. Tra i caratteristici dell’isola troviamo il Catarratto Ammantiddatu, il Fimminedda, il Bagascedda ed il Catarratto Mattu. Oltre che sull’Etna è coltivato soprattutto nella zona del Trapanese perché rientra nella composizione del Marsala. E’ presente in molte Doc siciliane quali Alcamo, Contea di Sclafani, Monreale, Menfi, Sciacca, Sambuca di Sicilia, Contessa Entellina, Santa Margherita di Belice ed ovviamente Etna Bianco.
Minella
Vitigno autoctono a bacca bianca coltivato soltanto sulle pendici del vulcano, lo si ritrova spesso associato in vigna al Nerello e al Carricante. Il nome deriva dal siciliano e vuol dire “piccolo seno” per la forma dei suoi acini leggermente ovali. È diffuso nel versante est e in particolare nel territorio di Viagrande. Matura tra la seconda e la terza decade di settembre in anticipo rispetto agli altri vitigni. Recentemente una nota azienda dell’Etna l’ha vinificata in purezza con buonissimi risultati.
Nell’ultimo decennio, anche nella regione etnea, si stanno diffondendo varietà alloctone come lo Chardonnay, il Pinot Noir, il Cabernet Sauvignon ed il Merlot. Sembra che l’Etna per le sue caratteristiche climatiche risulta particolarmente idonea alla coltivazione del Pinot Noir.
I Vigneri
A Catania nel 1435 viene costituita la “Maestranza dei Vigneri“. Questa importante associazione di viticoltori, operante sull’Etna, ha creato le basi per una professionalità vitivinicola di cui protagonisti erano gli stessi produttori-viticoltori.
Dopo 500 anni, I Vigneri è una realtà operante sull’Etna ed in Sicilia orientale ed è la sintesi di una esperienza più che trentennale svolta in Sicilia Orientale, attraverso una ricerca storica, sociale e tecnica, finalizzata ad una vitivinicoltura di “eccellenza”. Si utilizzano strumenti e sistemi non invasivi, in rispetto della tradizione, dei propri antichissimi vitigni.
I Vigneri oggi è il nome dell’azienda vitivinicola di Salvo Foti e del consorzio che riunisce un gruppo di viticoltori autoctoni etnei, veri professionisti della vigna. Salvo Foti nasce a Catania il 04/01/1962. La sua carriera di Enologo nel settore vitivinicolo inizia collaborando con note aziende siciliane dell’agrigentino, ragusano, trapanese, ma soprattutto con aziende etnee dove ha partecipato alla nascita di realtà vitivinicole oggi leader in questa zona. Ha svolto diversi stage vitivinicoli in Italia ed in Francia. Il suo impegno nel settore enologico, da sempre, non è stato solo puramente tecnico, ma si è esteso ad attività collaterali come la commercializzazione dei vini, la ricerca scientifica nel settore enologico in collaborazione con Istituti nazionali. Come tutte le menti geniali, a mio modestissimo e personale parere, forse è stato un po’ bistrattato dalla realtà vitivinicola ed enologica italiana per la sua filosofia. Infatti per Salvo ci sono due tipi di vino: il vino dell’uomo ed il vino degli uomini. Il primo ha una durata connessa ad una persona. Il secondo dipende da una civiltà, da un territorio e sopravvive al singolo uomo. Il vino dell’Etna è il vino degli uomini.
il ricordo….
Nei primi giorni di ottobre, come ogni anno in quel periodo, si avvertiva già nell’aria, nel fare, nel dire, nei gesti di tutti i giorni, qualcosa di diverso, una certa ansia, trepidazione.
Era il preludio alla vendemmia che metteva tutti in uno stato di preoccupazione mista a gioia. Si era consapevoli che bastava poco perché un anno di lavoro andasse a male. Sarebbe stata un’annata persa. Le nubi che in questo periodo da noi sono grigie, cariche di pioggia, passavano sopra i nostri nasi rivolti all’insù, tesi ad odorarne il tipico profumo. Gli sguardi sembravano indifferenti, ma gli occhi tradivano la preoccupazione di vedere fermare le nubi attirate dalla Montagna (Etna). La pioggia così desiderata in altri periodi ora faceva paura. Ma si faceva finta di niente…a Muntagna dici ca nu gniovi…na paura.. diceva mio nonno.
La sera, tutti attorno, alla conca, si ascoltava ’u Nannu. Le sue storie, volutamente paurose per noi bambini, ci affascinavano. Sapeva tante storie u Nannu. In una di quelle sere, intorno al focolare, aspettando la vendemmia, con una espressione di chi sta confidando un segreto, una grande verità, ‘u Nannu sentenziò: Carusi, riurdativillo sempri: u vinu si fa câ racina, sulu câ racina! Rimasi stupito da questa banalità. Il vino si fa sempre con l’uva! Sono passate tante vendemmie da allora e questa banale verità mi ritorna spesso in mente.
Nell’era delle super tecnologie capaci, sembra, di tutto: dei superlieviti, dei super enzimi che estraggono tutto quello che si trova (e non si trova) in un acino, che, promettono, indipendentemente dall’uva, un vino di “alta qualità” mi torna in mente il mio bisnonno:… riurdativillo sempri u vinu si fa câ racina (ricordatevelo sempre: il vino si fa con l’uva!)
(Brano tratto da I vini del vulcano di Salvo Foti)
Viaggio tra i vigneti, le cantine ed i vini dell’Etna.
TRECASTAGNI: situato alle pendici dell’Etna è uno dei comuni al confine tra il centro abitato dell’area metropolitana di Catania e il territorio del Parco dell’Etna, per la gran parte non edificato, e dunque ricco di attrattive naturalistiche. Qui si trova la cantina NICOSIA un’azienda siciliana, forte di una tradizione vinicola lunga centodieci anni ed apprezzata nel mercato nazionale ed estero.
Azienda Biondi: Personalmente ho degustato Outis 2006 nerello mascalese prodotto da viti mediamente quarantenni. Al naso note di frutta rossa matura, polvere pirica, catrame, molto equilibrato in bocca e lunga persistenza.
SANTA VENERINA: sorge in una zona litoranea collinare, posta a 337 metri sopra il livello del mare.Un piccolo borgo adagiato su un declivio molto suggestivo per le sue terrazze ricchissime di vigneti: Catarratto, Caricante e Nerello Macalese, ma anche Chardonnay e Pinot Nero, utilizzati nella produzione di Etna Rosso. Qui ho avuto il piacere di visitare l’Az. Agr. Emanuele Scammacca del Murgo che è stata la prima ed unica realtà, a spumantizzare il Nerello Mascalese con metodo classico. Tre versioni di Brut di cui uno resta sui lieviti 36 mesi, l’altro 60 mesi ed il Rosè dai 18 ai 26 mesi. Da qualche anno sta sperimentando una piccolissima produzione di Pinot Nero. Ho avuto modo di conoscere il maestro cantiniere che crede molto nelle possibilità di questo vitigno nel contesto territoriale etneo. Ovviamente l’ho degustato ed anche se c’è ancora da lavorare, promette molto bene.
Altra cantina da visitare è l’Azienda Cosentini particolarmente interessante perché all’interno della struttura sono presenti delle botti di castagno di vecchissima costruzione nonchè attrezzi, in disuso ma in perfette condizioni dell’antica civiltà contadina. Inoltre nei vecchi locali adibiti alla lavorazione delle uve, si può vedere il torchio costituito dalla famosa “petra di conzu”, che consiste in una enorme pietra lavica che funge da contrappeso e serve a far rotare una enorme vite in legno per la torchiatura delle vinacce.
ZAFFERANA ETNEA: base di partenza per le escursioni al versante nord-orientale del vulcano e sede del premio letterario intitolato a Vitaliano Brancati. Tra le cantine etnee:
Az. Vinicola Etna Rocca d’Api – Tenute Mazza
MILO: un piccolo borgo rurale ricco di vigne e frutteti e caratteristiche case in pietra lavica.
Az. Agr. Barone di Villagrande di proprietà della famiglia Nicolosi e presente da circa 300 anni.
PIEDIMONTE ETNEO: così chiamato per la posizione “ai piedi del monte”. Anche questo comune fa parte del Parco dell’Etna.
Valcerasa Az. Agricola Bonaccorsi: vigneti a 850 m. circa s.l.m. Il suo Etna Bianco Doc è Carricante al 100% allevato ad alberello. Densità d’impianto 7.000 piante per ha. Grazie alla sua piacevole acidità è destinato ad evolversi nel tempo. Etna Rosso Doc 80% Nerello Mascalese allevato ad alberello. Resa 40 q. per ha. Macerazione sulle bucce per 10/15 gg. Fermentazione malolattica e maturazione in Barrique di rovere francese. Mix di frutta rossa, note di vaniglia, immancabile nota minerale, è una delizia per il palato e per l’anima. Armonico e persistente, adesso è solo buono, con il tempo ………………
LINGUAGLOSSA: E’ uno dei comuni facenti parte del Parco dell’Etna. Il suo territorio si estende fino alla sommità del vulcano. Tra le cantine da visitare:
Cantine Vivera: bellissima tenuta sull’Etna, nella contrada Martinella, sul versante nord-orientale del vulcano. L’azienda possiede tre tenute in tre territori siciliani particolarmente vocati: la tenuta sull’Etna, la tenuta a Corleone e la tenuta a Chiaramonte Gulfi.
Tenuta Scilio di Valle Gallina
Aìtala
CASTIGLIONE DI SICILIA: il cui nome deriva da Castel Leone, antica fortificazione che dominava la valle dell’Alcantara, i cui resti sono ancora visitabili.
Azienda Calcagno in località Passopisciaro tra il parco dell’Etna ed il parco fluviale dell’Alcantara. Tra i tanti “grandi” presenti ai vignaioli dell’Etna a Roma quest’anno, Arcuria Etna Rosso Doc, Nerello Mascalese in purezza, 18 mesi in barrique di rovere francese, si è fatto notare per il suo grande equilibrio, per la sua complessità, per i suoi tannini eleganti, morbidi, e vellutati.
Tenuta di Fessina: Vini splendidi ad opera di Federico Curtaz, enologo che si definisce un’umanista del vino. Convinto che il vino sia segno ed espressione di civiltà, che ne racchiuda la memoria e che ne rispecchi la complessità, cerca di imprimere ai suoi vini, l’anima del luogo e dell’uomo che li ha generati. I prodotti di punta dell’azienda: Musmeci 2007 di beva incredibilmente piacevole,prodotto in contrada Rovittello, uno dei cru più prestigiosi dell’areale etneo. Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, vigne ottuagenarie, un sesto d’impianto ad alta densità, (8000 ceppi per ettaro), poste a circa 700 metri s.l.m., su terreno sabbioso ricco di scheletro e cenere
A’ Puddara 2010, dedicato alla Sicilia, modello Chablis, 100% Carricante, fermentato in botti grandi di legno di rovere. Ritenuto tra i vini più piacevoli della Guida Slow Food Editore 2013
ha avuto la menzione “Grande Vino” di Slow Wine.
Cottonera: Vino di punta è il Barbazzale. Degustato il 2009 l’ho trovato dolce al naso con sentori di lampone ma contrariamente in bocca amaro e sfuggente.
Az. Girolamo Russo: Tra i rossi a’Rina, Feudo
e la cru aziendale, San Lorenzo, Nerello
Mascalese e piccolissime percentuali di Nerello Cappuccio. Unico bianco Nerina, Carricante 70% e Catarratto, Inzolia, Grecanico e Coda di Volpe.
I Custodi delle vigne dell’Etna: i proprietari Mario e Manuela, una coppia di giovani imprenditori spinti dalla passione in comune per il vino. L’azienda fa parte del Consorzio I Vigneri. Carricante, Minella e Grecanico per il loro bianco Ante e Nerello Mascalese, NerelloCappuccioedAlicante per il rosso Aetneus da vigneti monumentali sul versante nord del vulcano, di oltre 150 anni.Invecchia per oltre due anni in barrique usate e affinamento in bottiglia per 12 mesi.
Az. Agricola Graci: Sorprendente l’Etna Rosso Doc Quota 600, Nerello Mascalese in purezza, tre/quattro grappoli per pianta, fermentazione tradizionale senza usare lieviti selezionati, in tini di rovere. Affinamento 18 mesi in tini grande di rovere, dove avviene la fermentazione malolattica spontanea, e sei mesi in bottiglia.
Frank Cornelissen: l’azienda si trova nella frazione di Solicchiata, il proprietario è un belga trapiantato in Sicilia. Cornelissen vinifica in modo naturale ma non vuole che il suo modo di vinificare venga etichettato come biologico né biodinamico. I suoi vini non subiscono alcun trattamento: fermentazioni con lieviti indigeni, nessuna aggiunta di anidride solforosa, nè filtrazione, fermentazione e maturazione secondo tradizioni antichissime in contenitori di terracotta (giare) di varie dimensioni (150 – 400 litri) interrati nella pietra lavica macinata. Vino e bucce vengono lasciati insieme fino a dopo la totale trasformazione della materia (fermentazione malolattica) al fine di estrarre tutti gli aromi territoriali dell’uva. Questa macerazione dura da 4 a 7 mesi secondo il vino e l’annata. Dopo la torchiatura, il vino ritorna nelle giare per concludere il suo ciclo di riposo ed evolutivo per circa altri 18 mesi prima di essere imbottigliato. Dato che non vengono usati additivi per stabilizzare e conservare il vino, questo va conservato ad una temperatura inferiore ai 16°. Pertanto è difficile reperire i suoi vini in commercio.
Vini: MunJebel Rosso un assemblaggio di vari vigneti (contrade) e varie annate solo di uve Nerello Mascalese; richiede un po’ di tempo per aprirsi e poi rivela al naso sentori minerali ferrosi, seguiti da odori più delicati di amarene e rose. MunJebel Bianco un assemblaggio di vari vigneti e varie uve (Carricante, Grecanico dorato e Coda di Volpe) vinificato in contatto con le bucce.
RANDAZZO: importante nodo strategico per raggiungere Catania, Messina ed Enna. Di origine prettamente medievale si trova su un territorio che è stato luogo d’incontro di diverse civiltà: greci, romani, bizantini, musulmani, normanni, aragonesi. Tra le cantine da visitare:
I Vigneri: Nel 1435 veniva fondata a Catania La Maestranza dei Vigneri, un’associazione di viticoltori etnei, con l’obiettivo di insegnare alle nuove generazioni come coltivare e produrre vino sul territorio del più alto vulcano europeo. A distanza di 600 anni circa, Salvo Foti fa rinascere l’associazione dei Vigneri. Al fine di preservare le antiche conoscenze viticole degli uomini autoctoni della Muntagna, ha riunito un gruppo di uomini di tutte le età, affinché i “vecchi” possano trasferire alle nuove leve i loro metodi e la loro conoscenza. Infatti i Vigneri sono in grado di fare tutti i lavori, che nell’arco dell’anno, necessitano ai vigneti, proprio come i vecchi contadini; potano, arano, impiantano, innestano, riparano costantemente i muri a secco di contenimento dei terrazzamenti in pietra lavica. Tutto lavoro esclusivamente manuale, l’unico aiuto su cui possono contare è un mulo chiamato Gino. Vigneri che diventano protagonisti nel mese di ottobre, durante la grande festa della vendemmia sul vulcano. Sono sei le aziende aderenti al consorzio, vecchie vigne sparse per la Sicilia dall’Etna fino alle Eolie e a Pantelleria, Pachino e Caltagirone. Azienda Daino, Ferrandes (Pantelleria), Tenuta di Castellaro (Lipari) I Custodi delle vigne dell’Etna, Savino e I Vigneri. Quest’ultimi capitanati da Salvo Foti e Maurizio Pagano, rappresentano il collante del consorzio. Il consorzio si fonda sul rispetto per il territorio e la filosofia vitivinicola comune: viti allevate ad alberello, vitigni autoctoni, tutela dell’ambiente e rispetto dell’Uomo. Ogni produttore del consorzio mantiene la propria identità, ma comunica la sua adesione alla filosofia comune imbottigliando i suoi vini nella bottiglia de I Vigneri, che riporta in rilievo il simbolo del consorzio, quell’alberello che ha le sue radici nel 1435.
Tasca d’Almerita – Tascante IGT. Nerello mascalese in purezza, di forte personalità, persistente e tannini eleganti.
VIAGRANDE: piccolo paese etneo di origini antiche. Particolarità unica è La Casa delle Farfalle del Monte Serra, una voliera con piante e fiori tropicali che ospita le farfalle più belle del mondo.
Tra le cantine:
Azienda Agricola Benanti, nata alla fine dell’800 e vanto enologico italiano. Ho degustato il Pietramarina 2008 e a mio avviso era pronto, ma ancora molto sapido, sentori di scorza di cedro e fiori d’arancio, e ancora basilico e salvia. Sicuramente lasciandolo affinare ancora un po’ diventerà ancora più elegante.
Tenuta Mannino dei Plachi: L’Etna Rosso D.O.C. “Tenute Mannino dei Plachi” è un vino che nasce dalla coltivazione del vitigno Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio nel Comune di Castiglione di Sicilia. E’ allevato a contro spalliera su terreni sabbiosi di origine lavica, ed’è assoggettato a forti sbalzi termici tra il giorno e la notte. La raccolta delle uve avviene ancora rigorosamente a mano nella prima decade di ottobre, con criomacerazione lunga, a temperatura controllata. L’affinamento del prodotto avviene in botti di rovere francese e successivamente in bottiglia per almeno 12 mesi.
So, di aver saltato volontariamente altre case vinicole, ma ho preferito parlare delle aziende che ho visitato direttamente o di cui ho degustato i loro vini. La mia curiosità e passione per questo territorio è nato tantissimi anni fa, quando neanche immaginavo che sulla “Montagna” esistevano vigneti centenari che davano vini di grande qualità. Avevo sempre sentito parlare dei vini siciliani come vini “da taglio” per “colorare e strutturare” i vini italiani prodotti da altre regioni. In realtà, da secoli si fa vino di qualità anche se solo recentemente sono stati rivalutati ed apprezzati. Il territorio etneo è un terroir particolare, dalle caratteristiche climatiche estreme: la vicinanza del mare, lunghe estate caldissime ed inverni pungenti. Come definirlo? Qualcuno lo ha definito la Borgogna italiana, ma l’Etna per i siciliani è la “Muntagna” e risulta impossibile qualsiasi altra classificazione.
“Quando il cielo di Catania è fosco di scirocco, la luna vi si stempera come un’arancia disfatta… ma quando il vento del settentrione, carico dei freschi odori della montagna, fuga e spazza le nebbie notturne …allora la luna di Catania è più forte…”
(Vitaliano Brancati – Don Giovanni in Sicilia)