Fino alla metà del Settecento “il Barolo” era un vino “dolce”. E’ solo nel XIX secolo che si passa dai chiaretti e da vinificazioni che producevano vini dolci a quelli che possono essere considerati i progenitori dei vini che conosciamo oggi. A testimonianza di ciò gli scritti sui diari di viaggio di Thomas Jeffersons, terzo presidente degli USA che arrivato in Italia per studiare i metodi utilizzati in risicoltura, rimase favorevolmente colpito da un vino dolce, delicato e lievemente spumeggiante: era il Nebbiolo di quei tempi. Allora la fermentazione era effettuata all’esterno e probabilmente con il freddo autunnale si bloccava. Non dimentichiamo che il Nebbiolo è un vitigno che germoglia precocemente e matura tardivamente e la fermentazione avviene in un periodo freddo per il Piemonte. I personaggi chiave che portarono il Barolo ad essere denominato Il re dei Vini, furono Juliette Colbert di Maulèvrier e Camillo Benso Conte di Cavour.
Juliette era damigella dell’Imperatrice alla corte di Napoleone e proprio a corte conobbe e si innamorò di quello che lei stessa definì il “migliore degli uomini” Carlo Tancredi Falletti di Barolo, paggio e ciambellano dell’Imperatore Bonaparte. Entrambi personaggi di grande levatura, furono attivi su molti campi distinguendosi in particolar modo in quello pedagogico ( Tancredi, si prodigò infatti perché si arrivasse ad una scuola per tutti, una scuola in italiano gratuita che potesse essere frequentata dai figli del popolo in modo di garantire una base culturale e l’insegnamento di un mestiere, convinto che la povertà dilagante della società torinese dell’epoca si potesse distruggere attraverso l’educazione. Tancredi fu sindaco di Torino, ideatore della Cassa di risparmio, aprì scuole elementari e un asilo nido nella sua casa, entrambi si occuparono di migliorare le condizioni carcerarie. Il loro fu un amore importante, raro e autentico e loro unione andò oltre la morte prematura di Tancredi e Juliette si fece portavoce attiva delle idee e dei sentimenti dell’uomo amato.
Gli anni tra il 1830 e il 1850 sono quelli di trasformazione per il Barolo. Grazie alla caparbietà di Juliette e del Conte Camillo Benso di Cavour, da vino amabile di “normale” qualità il Barolo diventa un vino unico e raro, da degustare nelle grandi occasioni. A Cavour che soggiornò per 17 anni nel Castello di Grinzane ricoprendo la carica di Sindaco fino al 1848 va riconosciuto il merito di aver chiamato l’enologo francese Louis Odart a curare il vino nelle proprietà di famiglia nella zona ed in quelle della Marchesa. Grazie a Juliette Colbert Falletti di Barolo, che lo presenta prima presso i Savoia e poi nelle altre corti europee, il Barolo acquista una connotazione aristocratica e diventa il Vino dei Re. La leggenda vuole che la Marchesa inviò il vino ai Savoia su espressa richiesta di Carlo Alberto allestendo uno spettacolare carosello di carri, uno per ogni giorno dell’anno. Poiché era una osservante cattolica tolse dai 365 giorni che ci sono in un anno, i 40 gg di Quaresima, ed inviò al Re ben 325 carri carichi di vino.
Molte sono, a mio modesto avviso le similitudini tra questa splendida storia d’amore ed il Barolo. Una storia d’amore importante, fuori dagli schemi di tutti i giorni, fondata sul rispetto e sulla stima reciproca, rara e autentica come un vino che migliora invecchiando. Una storia d’amore che non tutti abbiamo la fortuna di vivere. Allo stesso modo personalmente ritengo che il Barolo non sia un vino per tutti. Non è un vino di facile lettura, a volte è sfuggente, scorbutico, introverso, imperscrutabile, è un vino che ti invita a riflettere, ma che se hai la pazienza di aspettare e di coglierne le sfumature più nascoste, è un vino che ti scalda il cuore.
Vini in degustazione:
di Catia Minghi
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