Legumi d’amore

 Legumi d’amore

Tutti i segreti della carne vegetale

 

L’uso dei legumi come alimento risale ad oltre 20.000 anni fa. Probabilmente perché sono tra i primi cibi che l’uomo ha imparato a raccogliere. Infinite le notizie sulla loro coltivazione, preparazione e consumo nelle culture orientali, nelle tombe faraoniche degli antichi Egizi, nell’Iliade di Omero nell’antica Grecia, presenti nelle ricette del “De Re Coquinaria” di Apicio, considerati in epoca romana dal naturalista Plinio e da Columella. Persino nella Bibbia li troviamo menzionati più volte e sicuramente tutti ricordiamo, nel libro della Genesi che Esaù vendette la primogenitura a Giacobbe per un piatto di lenticchie. Nel Medioevo e nel Rinascimento i legumi erano presenti quasi esclusivamente sulle tavole dei contadini, quasi mai su quelle dei signori, grandi consumatori di carne di ogni specie. Successivamente alla scoperta del Nuovo Mondo, le varietà esotiche dei fagioli importati, rinnovarono l’interesse per i legumi, ma fu con la Rivoluzone Francese che questi cibi tornarono presenti sulle tavole di tutti.

 

Etimologicamente parlando i legumi appartengono alla famiglia delle leguminose dal latino legere “cogliere” in quanto i frutti si raccolgono manualmente, scientificamente chiamate papilionacee.

Le leguminose più conosciute e più usate in Italia sono: ceci, fagioli, fave, lenticchie, piselli.

Appartengono a questa famiglia, anche i lupini e le cicerchie, scarsamente consumate, le arachidi e la soia ma che spesso vengono indicate come “oleaginose” in quanto dai loro semi si estrae l’omonimo olio di arachidi e di soia. Inoltre le leguminose hanno la singolare proprietà di arricchire il terreno di azoto e sono in grado di adattarsi ai diversi tipi di clima e terreno.

I legumi costituiscono uno degli alimenti tipici della cucina mediterranea, ma spesso tendiamo a dimenticarli, infatti il consumo pro-capite è estremamente basso. Noti come la “carne dei poveri, sono da secoli utilizzati in sostituzione della carne dalle popolazioni meno abbienti. Il loro valore proteico è superiore a quello della carne, anche se di qualità inferiore e rappresentano una valida alternativa a carne, pesce, latte e uova. Inoltre a differenza dei prodotti animali non contengono grassi saturi, colesterolo, (anzi ne abbassano i valori grazie al contenuto di lecitina) farmaci, antibiotici o ormoni. Sono ricchi di fibra, favoriscono la mobilità intestinale e forniscono preziosi minerali quali calcio, ferro, fosforo, potassio oltre a vitamine del gruppo B e proteine vegetali. Si possono consumare allo stato fresco, secco, surgelato o conservato.

 

Ne facciamo poco uso?

Analizziamo insieme le cause dello scarso consumo e vediamo quali accorgimenti usare per superarle:

–       la cottura dei legumi secchi richiede tempo; è vero ma poiché non c’è necessità di controllare continuamente la pentola, possiamo utilizzare quel lasso di tempo per fare altro oppure possiamo ovviare a questo inconveniente utilizzando i legumi in scatola;

–       al fine di diminuire il loro contenuto di sodio, invece di aggiungere sale nella preparazione dei piatti usiamo in sostituzione le spezie e le erbe aromatiche;

–       senso di gonfiore:è sufficiente evitare di associare i legumi ai cibi di origine animale, come fanno i vegani. Meglio consumarli insieme ai cereali (riso integrale, orzo, farro, segale, avena, pasta, kamut ecc. Gustosissimi i piatti della nostra tradizione come pasta e fagioli, pasta e ceci, quadrucci con piselli, riso e lenticchie.

–       flatulenza: è risaputo che il consumo di quantità rilevanti di legumi provoca lo sviluppo di gas intestinali. Questo fastidioso problema è generato dalla presenza di alcuni zuccheri “oligosaccaridi” non attaccabili dagli enzimi digestivi. Se usiamo i legumi secchi preferire la cottura con pentola a pressione previo ammollo di 12 ore. Si può anche aggiungere all’acqua di cottura un cucchiaino di bicarbonato, unire un pizzico di semi di anice o di finocchio, oppure un pezzettino di alga Kombu e cuocerla insieme ai legumi.

 

Adottati questi accorgimenti dal punto di vista nutrizionale e salutistico cerchiamo di aumentare il consumo di questi alimenti adottando il motto Un piatto di legumi al posto della bistecca! Il nostro fisico ringrazia”.

 

Conosciamoli!

 

I legumi sono un cibo tradizionale della dieta mediterranea, e in Italia ne esistono molte varietà, a cui possiamo aggiungere anche la soia, che e’ un alimento tipico della cultura orientale. Si possono cucinare i moltissimi modi diversi: nelle minestre o nelle zuppe, lessati in insalata, stufati, in purea, in polpette, buonissimi con le frittate. Proviamo a conoscerli meglio.

 

Ceci: originari dell’India, i ceci si raccolgono tra giugno ed ottobre. Hanno forma rotondeggiante e colore paglierino, anche se ne esistono varietà di colore nero. Sono il terzo legume per produzione mondiale e la loro coltivazione è diffusa soprattutto in Asia. Ne esistono due principali varietà: i ceci Kabuli ed i ceci Desi. I Kabuli, cece a seme grosso, sono i più diffusi in occidente. Le cultivar maggiori in Italia sono ad esempio il cece di Merella (Novi Ligure, provincia di Alessandria), il cece di Grosseto, quello della provincia di Viterbo (ceci del solco dritto),il cece di Cicerale (Salerno) e il cece nero della Murgia Materana e Barese. Generalmente in cucina si usano quelli secchi previo ammollo in acqua, ma viene usata anche la farina di ceci, ingrediente fondamentale per la “farinata ligure” e per le “panelle siciliane”. Ideali nella preparazione di zuppe e minestre, polpette e sformati. Si abbinano molto bene al pesce ed ai funghi ma sono ottimi anche lessati con delle foglie di allora e conditi semplicemente con olio extravergine di oliva ed una macinata di pepe nero.

 

Cicerchie: appartenente alla famiglia delle Fabacee, sono coltivate diffusamente in Asia, Africa Orientale e limitatamente anche in Europa. E’ un legume ormai dimenticato e scomparso dalle nostre tavole. A metà tra i ceci e le fave,  ha origini molto antiche, arriva dal Medio Oriente, ma se ne cibarono anche Greci e Romani. Per secoli in Italia i contadini la mangiavano quando avevano poco da portare in tavola: ne facevano una purea dopo averle bollite che saltavano in padella con aglio e peperoncino, accompagnata al pane duro spezzato in piccoli pezzi.
Si semina in primavera, all’inizio di aprile, e si raccoglie alla fine di luglio/inizio agosto; non ha bisogno di colture particolari, cresce anche nelle zone tendenti alla siccità e su terreni poco fertili e a basse temperature. Per questo è altrimenti detta coltura di assicurazione perché fornisce un buon raccolto anche quando le altre colture falliscono. In cucina si utilizza nelle zuppe o in purea.

 

Fagioli: noti da tempo immemorabile, (vasi contenenti fagioli sono stati trovati in Perù nelle tombe del periodo pre-Inca), si dice sia stato Cristoforo Colombo a trovare la prima pianta di fagiolo (Phaseolus vulgaris) lungo le coste cubane e a portarla in Italia. Precedentemente in Europa esistevano solo fagioli di specie appartenenti al genere Vigna di origine subsahariana. Le specie di fagiolo si distinguono in rampicanti e nane, mentre i frutti (semi contenuti in baccelli) possono essere da sgranare o da mangiare integralmente con il baccello (i fagiolini). Esistono oltre 300 specie di fagioli, infinite varietà ma quelle più conosciute e commestibili sono circa una trentina.

Cannellini, Borlotti, Fagioli di Lamon (vallata Bellunese), Fagioli dell’Occhio (unico autoctono del vecchio mondo), Fagioli Rossi, Fagioli di Controne (Campania), fagioli di Sarconi Alta Valle dell’Agri – Basilicata), Fagioli Toscani ( zolfini, toscanelli e coco), di Sorana(Svizzera Pesciatina), Bianchi di Spagna, Fagioli Neri (Messico). E’ il legume più noto e più utilizzato in cucina e per quanto riguarda l’Italia possiamo definirlo l’elemento unificatore della nostra penisola gastronomica. Partendo dal Nord troviamo a Novara la paniscia (fagioli e riso), a Vercelli diventa panissa, in Lombardia è chiamata risot coi Burlott, in Veneto risoto della Visilia con i fagioli di Lamon. In Friuli Venezia Giulia abbiamo la jota minestra di carne e fagioli. In Liguria i fagiolini verdi (fagioli mangiatutto) insieme alle patate sono fondamentali per le trofie al pesto. Scendendo a Piacenza troviamo pisarei e fasò (pasta simile a gnocchetti conditi con pomodoro e fagioli) mentre in Toscana oltre alla zuppa e alla ribollita, i fagioli si mangiano all’uccelletto e al fiasco. Tra i piatti tipici laziali fagioli con le cotiche e sagne e fagioli. Continuando a scendere troviamo a Napoli la munnezzaglia, minestra di fagioli preparata con tutti i formati di pasta avanzati, in Basilicata le lagagne, una sorta di lasagne con i fagioli nel giorno di san Giuseppe. Si trasforma in Suriaca ‘nta Pignata in Calabria, e in Pasta ca triaca in Sicilia e Curritholata in Sardegna.

 

Fave: importanti testimonianze dagli scavi archeologici datano la presenza di questi legumi dall’età del bronzo all’antico Egitto, nell’antica Grecia i seguaci di Pitagora ne proibivano il consumo mentre a Roma i semi erano usati per l’elezione dei magistrati. Le fave sono particolarmente popolari nel Lazio, mangiate fresche a maggio con il pecorino romano e nel Sud, soprattutto in Puglia. Si possono mangiare sia fresche che secche (previo ammollo 12-24 ore). Tra le varietà più note abbiamo la Aguadolce, la Siviglia e la Windsor. Sono utilizzate nell’intera penisola, nel Lazio sono sempre presenti nelle scampagnate primaverili, in Abruzzo si aggiungono al virtù (minestrone tipico), in Calabria sono alla base del macco (spaghetti con le fave), in Sicilia nella frittedda (fave stufate con piselli e carciofi) e in Sardegna nella favata (minestra di fave, verza e carne di maiale) e nel lardu (fave stufate con lardo) durante il giovedì grasso nella Barbagia. Purtroppo esiste una forma di allergia grave nei confronti delle fave e anche dei piselli, chiamata favismo che colpisce le persone che geneticamente sono prive di un enzima dei globuli rossi.

Lenticchie: il loro ritrovamento all’interno di siti archeologici risalenti al Neolitico li rendono il legume più anticamente utilizzato dall’uomo. La sua presenza è stata rinvenuta insieme a cariossidi di cereali, in Siria e nel Medio oriente. Erano note agli Assiri, agli Egiziani che le mangiavano insieme al pesce salato ed al formaggio, ai greci. Le lenticchie hanno una forma tondeggiante e schiacciata e diverso colore a seconda della varietà., ci sono lenticchie a seme grande e lenticchie a seme piccolo. Normalmente al supermercato le troviamo secche confezionate oppure precotte nei barattoli. Hanno un elevato valore proteico e nutritivo, sono consigliate ai diabetici, ai malati di anemia, prevengono l’arteriosclerosi, abbassano il colesterolo e non contengono glutine. E’ sufficiente associarle ai cereali per ottenere un piatto unico e completo. Sono particolarmente adatte alla preparazione di minestre e zuppe, purè, contorni ed insalate. Tuttavia parlando di lenticchie, la nostra mente vola al cenone di Capodanno ed al piatto più noto “Cotechino e/o zampone con le lenticchie”. Alimento estremamente versatile, è adatto a tutte le stagioni. Attualmente questo legume è coltivato in Asia, in Turchia, nel Nord e Centro America. L’Italia è un importatore di lenticchie poiché l’attuale produzione non è sufficiente al nostro fabbisogno. Nel nostro paese sono coltivate in Umbria, Abruzzo, Lazio, Campania e Puglia. Tra le varietà più note in Italia abbiamo: le lenticchie di Castelluccio di Norcia, di Colfiorito, di Santo Stefano di Sessanio (presidio Slow Food), di Ustica, di Onano e la lenticchia verde di Altamura.

 

Piselli: si mangiavano già in Asia Minore oltre 8000 anni fa. Presenti sulle tavole degli antichi Greci e Romani, in Italia hanno sempre goduto di grande consenso. Alcune ricette a base di piselli attraversarono e le Alpi e presero per la gola il Re Sole, tanto da fargli preferire ai favori delle sue cortigiane, un piatto di piselli. I piselli contengono carboidrati, fibre, Sali minerali e sono ricchi di acido folico. Coltivate in tutti gli orti italiani, la regione più vocata per clima e terreno è la Toscana. Le varietà sono numerose: rampicanti, semi-nane e nane. Buonissimi mangiati freschi, si possono essiccare ma si prestano anche alla congelazione, alla conservazione sottosale o in salamoia. In Lombardia si usa cucinarli con la tinca, in Veneto sono presenti in risi e bisi (risotto con i piselli per la festa di San Marco), in Liguria li assaporiamo nei lacerti con i puisci (piselli con gli sgombri). In Toscana accompagnano l’anguilla ed anche lo spezzatino di manzo. I Pugliesi li preferiscono con la stracciatella, con le uova, pancetta e pangrattato oppure a Pasqua, come contorno all’agnello al forno anche detto u’verdette.

 

Soia: pianta erbacea della famiglia delle leguminose originaria dell’estremo oriente e coltivata oggi in tutto il mondo, causa la sua grande adattabilità ai climi ed ai terreni. Utile per ridurre i sintomi della menopausa, contrasta l’osteoporosi e la formazione della placche aterosclerotiche. Il suo profilo proteico è ottimo dal punto di vista nutrizionale. La varietà più commercializzata è la soia gialla, mentre la soia nera viene utilizzata nei luoghi di produzione. Quelle che invece comunemente vengono chiamate rispettivamente soia rossa (azuki) e soia verde (fagiolo mung), appartengono invece alla specie dei fagioli.

E’ un legume poliedrico in quanto è possibile trovarlo in commercio sotto varie forme. Ad esempio

germogli di soia: utilizzati principalmente come verdure; latte e yogurt di soia: l’assenza di lattosio lo rende un ottimo sostituto del latte per i soggetti intolleranti; farina di soia, carne di soia, tofu: il classico formaggio di soia; olio di soia. E’ presente anche in tantissime salse usate comunemente nella cucina orientale.

 

Cerchiamo nei libri di cucina le ricette della tradizione, rinnoviamole con altri prodotti del territorio e troviamo un modo nuovo e gustoso per riscoprire e gustare i legumi, alleati della nostra salute.

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